I guess all the time I feel like I’m kind of trapped because I can’t describe how I’m feeling.
The Bear
Irrisolti, fragili, incasinati: proprio come le ragazze, le flaky girls, esistono anche i flaky boys. Sono confusi, un po’ arrabbiati, a volte instabili, altre totalmente in subbuglio emozionale.
Sono uomini che non ostentano mascolinità tossica, che non si atteggiano ad alfa, pronti e capaci (seppur non sempre) a mettersi in discussione, inclini più di altri a mostrare le loro fragilità, a volte con timore, altre senza vergognarsene affatto.
In questa Storia di Serie parliamo di personaggi maschili che hanno conquistato sempre più importanza nelle serie tv, nel cinema e nella letteratura. E attraverso queste tre forme di intrattenimento, vediamo come i Flaky Boys, spodestando anche le figure machiste dell’eroe maschile, hanno attirato l’attenzione su di sé, nel bene e nel male.
In quali serie tv, in quali film e in quali libri possiamo seguire le difficoltà e le sfide che la vita pone a questi uomini incasinati e fragili? E perché li amiamo tanto, nonostante tutti i loro difetti e le loro scelte non sempre giuste?
In questa storia di serie:
- I flaky boys nell’immaginario narrativo e pop collettivo
- I flaky boys nelle serie tv: da The Bear ad altri titoli di oggi
- I flaky boys nelle serie tv italiane: disagio psicologico e ansia da prestazione
- I flaky boys sparsi per il mondo: da Master of None a molte altre serie
- I flaky boys nei libri: da Eshkol Nevo a Yasmine Resa
I flaky boys nell’immaginario collettivo
All’inizio, nell’immaginario collettivo – soprattutto quello femminile – fu Dylan McKay di Beverly Hills 90210 a imporsi sul piccolo schermo come ragazzo fragile e incasinato (seppur terribilmente bello e tenebroso) delle serie tv. Un passato turbolento, problemi di droga, rapporto difficile con i genitori: Dylan aveva tutte le carte in regola per far innamorare prima Brenda, poi Kelly, poi a tutte noi. Perché diciamocelo: in fondo in fondo, l’uomo incasinato è sempre affascinante, no?
Nel panorama seriale mondiale, la narrazione ha dato spesso molto spazio a uomini imperfetti e problematici, con degli irrisolti alle spalle e percorsi in salita da affrontare nel compiere il loro viaggio nella storia. Da quelli più semplici e di facile lettura, Ryan in The O.C. e Chuck Bass in Gossip Girl, ad altri più complessi e strutturati (e precedenti) come Tony Soprano (nei Soprano, appunto) e Christian Troy in Nip/Tuck, per citarne un paio.
Nella cinematografia, è quasi impossibile non ricordare flaky boys come Jim Carrey in Eternal Sunshine of a Spotless Mind e Joseph Gordon Lewitt in 500 Days of Summer; Oscar Isaac in Inside Llewyn Davis o Riz Ahmed in The Sound of Metal, per arrivare a quelli più recenti.
I flaky boys nelle serie tv
I think it’s very clear that me trying to fix the restaurant was me trying to fix whatever was happening with my brother.
The Bear
The Bear è una serie schietta, immediata, con diverse chiavi di lettura e con al centro un viaggio dell’eroe splendidamente delineato ma che è solo all’inizio. La serie, in Italia su Disney+, è stata rinnovata da subito per una seconda stagione, e in futuro torneremo a vedere il percorso di Carmy, il protagonista, nella sua amata e (un po’) odiata Chicago. Jeremy Allen White, l’attore che lo interpreta, ha conquistato tutti: pubblico, critica, appassionati di serie tv e neofiti. Il suo Carmy è il flaky boy contemporaneo per eccellenza, vittima di crisi di ansia da prestazione e panico, affascinante, determinato e con una famiglia e un passato burrascosi alle spalle, per certi versi comune a molti. Carmy non ha paura di mostrare le sue fragilità, non si nasconde dietro a un atteggiamento da macho, reprime dolore e sofferenza mentre rincorre la sua rivincita, il suo riscatto, croce e delizia di tutta la sua storia, dall’inizio alla fine. “Imparare a lasciar andare”: questa frase riecheggia nelle orecchie di tanti dei nostri ragazzi fragili, non solo nelle serie tv e nei film, ma come vedremo, anche nella letteratura.
Carmy è l’esempio lampante di qualcuno che è costretto a pagare a caro prezzo una pesante eredità familiare, volente o nolente, il cui destino è segnato non tanto dalle scelte che compirà, ma da quelle fatte da altri. Sa che non è padrone del suo futuro, sa che dovrà faticare più degli altri per trovare – forse – ciò che cerca, ciò di cui ha bisogno per acquietare i suoi fantasmi.
Esattamente come Lip Gallagher, co-protagonista di Shameless, interpretato per undici meravigliose stagioni dallo stesso White. Lip è più giovane, meno determinato, ma ugualmente talentuoso, con la sfortuna di non avere però i mezzi economici per farcela, e proprio quando ci prova, la vita gli si mette di traverso e lo fa tornare, con enorme dolore, al punto di partenza.
Chi ha visto The Bear sa che la serie tv si svolge tra le pareti di un ristorante, esattamente come un altro show del 2016, meno famoso, per certi versi meno riuscito, ma interessante per ciò che riguarda i suoi personaggi. Feed the Beast, con David Schwimmer e Jim Sturgess racconta la storia di Dion e Tommy, che sognano da sempre di aprire un ristorante nel Bronx. Quando Tommy perde la moglie e rimane vedovo e con un figlio da crescere, chiude il sogno nel cassetto e seguita a lavorare come rappresentante di vini. Il dolore lo sopraffà, si chiude in se stesso, soffoca le lacrime e fatica ad andare avanti. Suo figlio patisce in silenzio, letteralmente (smette di parlare dopo la morte della madre), al suo fianco, vedendo gli occhi del padre sempre più spenti di giorno in giorno. A fare da contraltare a Tommy, Dion, scapestrato e smarrito, incapace di dare un giusto verso alla sua vita, dentro e fuori dalla galera. Due anime in pena che si bilanciano, che si spalleggiano, e condividono insieme il mal di vivere contemporaneo, in loro molto evidente. Una serie commovente e interessante, con quel pizzico di genialità che solo il mondo della cucina sa regalare.
Una chiave di lettura comune in tutti i romanzi di Sally Rooney e delle serie tv da essi ispirati, sono sicuramente le fragilità e le idiosincrasie nei suoi personaggi, siano essi maschili o femminili. Se la Rooney è infatti campionessa nel portare in scena millenial irrisolte e incasinate, non è da meno quando si tratta di raccontare anche l’altro sesso, esempi lampanti sono Connell in Normal People e Nick in Conversations With Friends, quest’ultima ancora inedita in Italia.
Se Connell da un lato è ancora giovane (poco più che ventenne), inesperto sia che si tratti di vita che di relazioni, e con una psicologia ancora acerba da sviluppare nel relazionarsi a Marianne, per Nick questo discorso non vale del tutto. Abbondantemente sopra i trenta, Nick è un attore belloccio e discretamente famoso, sposato con una bossy woman che lo tiene in riga, con una sensibilità molto spiccata, inusuale negli uomini apparentemente come lui. Connell e Nick sono due flaky boys molto attuali, i classici ragazzi che incontri al pub e che, seppur non fatichino a fare il primo passo, si lasciano prendere dall’ansia da prestazione se si trovano davanti l’amore della loro vita. Un atteggiamento molto simile a quello di Adam in Girls, personaggio controverso interpretato da Adam Driver nella serie HBO creata e scritta da Lena Dunham. Un ragazzo che fatica ad aprirsi e a lasciarsi andare, più incline al silenzio e a reprimere i propri sentimenti, piuttosto che fidarsi e affidarsi alla persona che ha accanto. Duro, rigido, introverso, quasi un personaggio di un film della nouvelle vague.
I ragazzi incasinati delle serie tv americane arrivano spesso da famiglie medio borghesi, hanno studiato e non sempre hanno problemi economici: ciò che li accomuna è una sensazione di stallo nella propria vita relazionale e lavorativa, stallo che superano spesso “grazie” a un trauma. Spesso, nelle donne e negli uomini che hanno accanto, cercano un complice che si prenda cura di loro, ma il più delle volte, faticano a dargli fiducia.
Si sentono profondamente soli e non solo cercano di farla finita con una manciata di pillole, ma si ritrovano a parlare (letteralmente) con il cane della propria vicina. Cane che ai nostri occhi è un omone barbuto di un metro e ottanta. Questa è la bizzarra, divertente e commovente storia di Ryan e Wilfred, protagonisti di Wilfred appunto, dramedy, del 2011 con protagonista Elijah Wood.
I flaky boys nelle serie tv italiane
Se Wilfred e The Bear su tutti affronta anche il disagio psicologico che accusa chi soffre di ansia e panico, chi si trova spesso sotto pressione, chi ricorre all’uso di droghe e psicofarmaci, una serie su tutte che approfondisce il tema dei disturbi mentali è l’italiana Tutto chiede salvezza, ispirata all’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli, vincitore del Premio Strega Giovani.
Daniele affronta una settimana in TSO nel reparto di psichiatria in un ospedale in provincia di Roma, in seguito a un attacco di ira: soffre di depressione e spesso ricorre all’uso di sostanze stupefacenti per attutire il rumore che ha intorno che a volte sembra soffocarlo e sfinirlo. Durante il TSO, Daniele conosce Gianluca, Mario, Giorgio e “Madonnina”, ragazzi nati fragili, ma più sfortunati degli altri. Uomini che hanno, loro malgrado, superato il limite troppe volte, sopraffatti dai loro traumi e ai quali pochi minuti hanno rovinato una vita intera. Incasinati e border line, per alcuni diversi da quelli definiti “normali”, per altri solo più sfortunati. La storia raccontata in Tutto Chiede Salvezza ci svela con irruenza una verità sacrosanta: una brutta giornata arriva per tutti, sta a noi affrontarla nel modo giusto, e se vediamo di non farcela, è meglio chiedere aiuto il prima possibile, prima di scavalcare quel limite invalicabile tra ragione e pazzia.
Nel panorama seriale italiano, i flaky boys ricorrono anche nella seconda stagione di SKAM Italia, interpretata sempre da Federico Cesari (che in Tutto Chiede Salvezza presta il volto a Daniele) nel ruolo di Martino, che affronta temi come coming out e disturbo bipolare, e nella quinta, incentrata sul personaggio di Elia (Francesco Centorame) e sul tema del body shaming e dell’ansia da prestazione sessuale.
Ultimo, non ultimo, Michele Zerocalcare Rech, che nel suo Strappare Lungo i Bordi, fumetto prima, serie tv poi, racconta con ironia e delicatezza, il senso di inadeguatezza
di un millenial romano e del suo gruppo di amici, mettendo in scena le fragilità comuni a un’intera generazione.
I flaky boys sparsi per il mondo
Aziz Ansari con il suo Dev in Master of None è stato tra i precursori contemporanei di questo filone narrativo: trentenne di origini indiane che vive a New York e si approccia alla vita con ironia e cinismo, per superare le discriminazioni razziali all’ordine del giorno. Relazioni amorose, sogni da realizzare, una stabilità economica necessaria per portare a termine il sogno americano dei genitori emigrati dall’India in un Paese a loro ostile: Master of None ha tutte le carte in regola per raccontare la vita di un flaky boy diverso da quelli della white middle class americana.
Simile ma non per questo meno interessante, un’altra serie creata e prodotta dal comico Ramy Youseef, che segue il personaggio di Rami nel suo quartiere in New Jersey, ventenne americano-egiziano di prima generazione e osservante musulmano, che cerca di barcamenarsi tra lavoro, famiglia, sesso e amicizie, tutte declinate nel suo rapporto speciale con la religione, trattata in maniera incredibilmente ironica e leggera ma mai superficiale.
L’ironia e la fragilità di Ramy nelle relazioni, si riscontrano anche in una produzione tutta italiana, film e serie tv, da titolo Bangla, diretta e interpretata da Phaim Bhuiyan. Il protagonista, Phaim appunto, è un ragazzo musulmano radicato nelle ferree tradizioni culturali bengalesi dei genitori, e innamorato di un’italiana atea. La serie come il film, è ambientata a Roma nel quartiere popolare di Tor Pignattara, e colpisce per lo stile schietto e sincero e per le tematiche notoriamente affrontate di più all’estero che non nel nostro Paese.
Tra le serie tv più recenti, è doveroso citare Mo, serie tv disponibile su Netflix scritta da Mohammed Amer e Ramy Youssef, per l’appunto.
La serie racconta la storia di Mo Najjar, rifugiato palestinese, che vive a Houston (Texas) e sta disperatamente cercando di trovare il suo posto negli Stati Uniti, intrappolato tra le sue due culture, ognuna con le sue lingue e i suoi problemi. Grande e grosso (di stazza soprattutto), Mo non risparmia battute taglienti sul sistema politico americano, né utilizza troppi fronzoli per raccontare una storia comune a molti rifugiati politici, quella sua famiglia che, fuggita in Kwait dopo l’arrivo dei sionisti in Palestina, durante la Guerra del Golfo fugge negli Stati Uniti mentre il padre viene incarcerato e torturato. La famiglia Najjar, aspetta l’istanza di asilo da oltre vent’anni e Mo lavora come clandestino, con un fratello debole e mentalmente instabile e una madre apprensiva e ancora fortemente legata alla cultura palestinese. Commuove, diverte e fa riflettere: Mo rientra senza alcun dubbio tra le migliori novità dell’anno “seriale” in corso.
I flaky boys nei libri
Ci poniamo delle mete, e ne diventiamo schiavi. Siamo talmente impegnati a realizzarle, che non ci rendiamo conto che nel frattempo sono cambiate.
La simmetria dei desideri
Rimaniamo per un attimo in Palestina, lasciando da parte però le serie tv e spostandoci nel mondo della letteratura: Tel Aviv e Haifa fanno da sfondo alla storia corale di Yuval, Churchill, Ofir e Amichai ne La simmetria dei desideri. Quattro amici inseparabili, cresciuti insieme, tra la prima e la seconda intifada (la rivolta degli arabi palestinesi contro lo stato d’Israele). Il romanzo, di Eshkol Nevo (autore del fortunatissimo Tre Piani), percorre gli anni dell’età adulta dei protagonisti, con alcuni flashback nel loro passato, per raccontare il loro percorso di vita, in un mondo difficile e doloroso come quello israeliano di questi ultimi sanguinosi anni. La simmetria dei desideri ha la sua forza nel racconto di Yuval, un ragazzo fragile, taciturno, rassegnato per gran parte della sua vita, a seguire i suoi amici come un’ombra, incapace di lasciare il segno in alcun modo, incapace di amare, di trovare la quiete che molti sembrano raggiungere, di essere davvero qualcuno in grado di lasciare il segno. La forza di Yuval è in realtà il suo silenzio, la sua pacatezza, la sua pazienza: croce e delizia della sua vita, queste caratteristiche lo portano a capire gli altri membri del gruppo prima che parlino, ma gli impediscono di conoscere realmente sé stesso.
Un flaky boy che dà voce a un romanzo commovente, riflessivo, a tratti struggente.
Mai struggente quanto Una vita come tante di Hanya Yanagihara, romanzo di oltre mille pagine che racconta senza risparmiarsi mai negli eventi drammatici, la vita e la parabola di quattro ragazzi che diventano grandi amici al college e si tuffano poi insieme nella vita adulta a New York. Una storia da pelle d’oca in alcuni capitoli, un libro che non tutti riescono a finire: abusi, violenza, autodistruzione, disagi psicologici, sofferenza. Non lasciatevi trarre in inganno dalla scintillante location, la Grande Mela, perché Una vita come tante è un romanzo di formazione insolito: crudo, violento, doloroso, che vale la pena leggere, ma con estrema prudenza, perché non è un romanzo per tutti.
I protagonisti, Jude, Ezra, Willem e Caleb sono personaggi complicati e impegnativi, lontanissimi dai millenials a cui negli anni ci hanno abituato scrittori come Nick Hornby (il protagonista di Alta fedeltà è un flaky boys per eccellenza, così come quello di Febbre a 90°) o la già citata Sally Rooney.
Ragazzi comuni, diversi per certi versi da quelli più disillusi e sarcastici di Yasmina Resa in Felici i felici, coraggiosi nell’incertezza dell’insofferenza. Tradiscono per una lussuria che in fondo sa di rabbia, contro sé stessi e la società. Sono aggrappati al concetto di abbandono in una vita contemporanea, digitale, familiare, che non li abbandona mai. I rapporti sociali, il lavoro, le case, persino il tempo che passa e la vecchiaia, sono una folla sempre presente da cui è impossibile svincolarsi. Nemmeno per una sigaretta, un drink o un po’ di sesso. E i loro vizi, le loro colpe, verso le donne e i figli, non gli possono essere perdonati, ma viene quasi il dubbio che non gli si possano nemmeno attribuire.
Uno degli effetti della destabilizzazione sentimentale è che non esiste più niente di irrilevante. Tutto diventa un segno, tutto è da decodificare
Felici i felici
Sono tutti impegnati a cercare in qualche modo loro stessi, i ragazzi fragili di cui abbiamo parlato finora, ad affrontare sfide continue, a mettersi alla prova, spesso incapaci di fermarsi per guardarsi dentro. A volte si perdono, questi ragazzi fragili, come succede proprio a Carmy, il protagonista di The Bear, la serie da cui siamo partiti in questo excursus. Una storia già per molti indimenticabile, che ci insegna che in fondo siamo troppo accecati dalla competizione continua, da questa ossessiva società dell’apparenza in cui viviamo, per renderci conto che il tempo con le persone che amiamo è raro e prezioso e va difeso e preservato a tutti i costi.
Perché la perdita di un affetto può cambiarci in maniera profonda e irreversibile, e spesso ce ne rendiamo conto troppo tardi perché diamo importanza alle cose e alle persone sbagliate.
Ecco, forse alla fine dei conti, è proprio questo in fondo ciò che ci insegnano i nostri flaky boys nelle serie tv e nella cultura pop.