Perché BLACK MIRROR 6 non è tutta da bocciare

Nel 2011 Black Mirror, la serie antologica inglese più distruttiva di tutti i tempi, ruppe gli schemi e stravolse gli schermi di tutto il mondo.
Ideata e prodotta dal geniale Charlie Brooker e trasmessa su Channel 4, si fece da subito portavoce della società contemporanea, tra distopia e tecnologia, analizzando l’uso della stessa nella società e i rapporti umani da questa condizionati, raccontando passato, presente e futuro in maniera originale e distruptive.
Episodi come The National Anthem, The Entire History of You, Be Right Back, rimangono ancora oggi impressi nella mente dei fan della serie, che li reputano dei veri e propri capolavori (e noi, ovviamente, siamo d’accordo con loro).

Guarda solo serie tv perfette per te!Dalla terza stagione in avanti, la serie passò su Netflix,  ammorbidendo gradualmente linguaggio e stile, per rivolgersi (anche) a un pubblico mainstream, pur mantenendo alla base le sue tematiche e riflessioni ricorrenti.
Nosedive
, episodio che racconta l’impatto che i social media hanno sulla vita delle persone, e San Junipero, che prende il nome dal mondo alternativo in cui sopravvivere virtualmente dopo la morte, conquistano da subito il favore del pubblico e della critica, e la terza stagione riscuote un buon successo.

Lo stesso accade alla quarta grazie soprattutto a storie come quelle raccontate in Hang the DJ, Arkangel e USS Callister, mentre la quinta stagione nel 2019 (di soli 3 episodi) perse decisamente parecchio smalto e brio, perdendo anche gradualmente il favore di pubblico e critica.
Oggi, a 5 anni di distanza dall’ultimo capitolo andato in onda, con una pandemia e relativa crisi sociale ed economica globale di mezzo, la serie di Brooker è tornata con 5 nuovi episodi su Netflix che stanno facendo discutere molto.

Ph: courtesy of Netflix

Le cinque puntate della sesta stagione sono senza dubbio diverse rispetto a quelle delle prime stagioni, così come diverso è il mondo in cui viviamo, dove il confine tra reale e distopico si fa sempre più sottile e labile, dove davvero la tecnologia ha cambiato le carte in tavole e dove internet va alla velocità della luce e si porta con sé pregi e difetti di una società sempre più difficile da comprendere e, soprattuto, impossibile da consolare.

Ed è qui che molti fan contestano a Brooker di aver cambiato troppo rotta, additandolo di non aver cambiato il titolo a una serie che – a loro avviso – della Black Mirror delle origini non ha mantenuto quasi nulla.
Sebbene la nuova stagione tratti gli argomenti in maniera differente rispetto al solito, noi non ci sentiamo di bocciarla in toto e abbiamo invece cercato di capire in qualche modo le motivazioni dietro le scelte adottate dal suo creatore.

Ciò che Brooker ha sempre fatto è stato raccontare non la tecnologia in sé o fine a sé stessa, ma la sua relazione con la società e gli esseri umani, caratteristica che ricorre anche in questo nuovo capitolo. La tecnologia non è stata protagonista degli episodi del passato, ma uno strumento in mano gli individui che, utilizzandola, hanno condizionato – spesso in male – le loro relazioni e il loro modo di vivere.
In un mondo post pandemico totalmente cambiato, in cui le AI la fanno da padrone e in cui a breve i visori saranno i protagonisti delle nostre giornate, sarebbe stata una forzatura aggiungere altri robot o strumenti simili, ed è proprio qui che risiede la peculiarità maggiore di Brooker: reinventare Black Mirror, ricorrendo spesso a un mix di generi (true crime, horror, sci-fi) raccontando storie diverse non ambientate nel futuro, ma radicate in un passato (episodio 2, per esempio), in cui il marcio è dappertutto, con o senza la tecnologia di mezzo.
Perché su questo vuole focalizzarsi, sugli esseri umani: distruttivi per natura, a prescindere dal mondo esterno, dalla scienza, dalla robotica. Ne è un esempio l’episodio Mazey Day, totalmente diverso da tutti, in controtendenza, in stile horror, quasi fuori contesto eppure molto potente.
Un mondo amaro, crudele, ma estremamente realistico, dove le VHS, superate e polverose, nascondono segreti pericolosi, come nel secondo episodio, Loch Henry, quello a nostro avviso più riuscito. La storia ruota intorno alla coppia di studenti di cinema Davis e Pia in visita alla madre vedova di lui, Janet, nella spettrale cittadina di campagna scozzese di Loch Henry. Qui, Stuart King, un amico barista di Davis, una sera racconta a Pia la storia di Iain Adair, un serial killer del paese indagato nel 1997 per il caso di sparizione di una giovane coppia in luna di miele. Un mistero che innesca una serie di colpi di scena inaspettati e da brivido.

Un mondo in cui lo streaming – non più una novità ormai oggi – in mano agli esseri umani può cambiare il destino di tutti, come racconta il capitolo Joan is Awful, il più virale al momento, grazie ai vari meme circolati in rete. Qui, la protagonista è Joan Tait, una donna come tante che un giorno per caso scopre di essere il main character involontario di una serie tv su una nota piattaforma di streaming “Streamberry”, intitolata appunto Joan è terribile che racconta la sua vita nel dettaglio e in real time, spiattellandola a tutti, segreti compresi.
Una vita che ricorda quelle mostrate sui social network da tanti influencer e celebrities di oggi, senza filtri però, e mettendone in luce anche le parti più oscure o imbarazzanti. Una serie “autorizzata” da una firma siglata da Joan senza prestare troppa attenzione a un modulo sui termini della privacy della piattaforma… se non è contemporaneità questa, cosa lo è in fondo?

Libero arbitrio, scelte sbagliate, rapporti tossici: sono gli esseri umani il centro della sua narrazione, e il loro agire in ogni epoca, momento o periodo storico.
Dopo il Covid-19 nel mondo in cui viviamo, le persone che lo abitano sono diventate più introverse e ciò si riflette anche nello stile di Brooker oggi, nel suo modo di raccontare questo mondo: questa stagione, girata in maniera impeccabile e con un cast stellare (Aaron Paul, Salma Hayek, Cate Blanchett, Josh Hartnett), riflette tutto ciò soprattutto nei dialoghi, più diluiti, meno parlati rispetto al passato, con poche frasi al posto giusto.

Un autore capace, ancora una volta – e nonostante tutti i difetti – di stravolgere le aspettative e sorprenderci con scelte stilistiche che magari non raccoglieranno il favore del pubblico a gran voce come in passato,  ma che lasceranno molto su cui riflettere e di cui far parlare. Del resto, se non sperimenta lui, ma chi deve farlo?

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