Girls, sesta stagione: abituarsi alla fine

“I’m Hannah forever.
No matter what I do, no matter whether I start a new nuclear missile crisis with my emotions, or I sit back and chill and give someone a fruit basket, I can only control the mayhem that I create around me.
But the crazy thing is, when I showed up, I heard screaming and I heard my name and I heard madness.
And I knew that I was free. At least for tonight.
That’s all. Thank you.”

Io ero davvero convinta che, con il monologo alla fine della quinta stagione di Girls, Lena Dunham non potesse più in alcun modo superarsi nella scrittura di un episodio della serie.
E invece, dopo un’attesa quasi infinita, è arrivata la season premiere di 40 minuti della sesta, e ultima stagione.
All I Ever Wanted è una puntata perfetta ed equilibrata sotto tutti i punti di vista, forse il primo episodio in sei anni nel quale, dell’amore/odio per il controverso personaggio di Hannah Horvath, è rimasto soltanto l’amore.
Ed così, sparita quell’antipatia di fondo che mi ha sempre pervaso ogni qualvolta vedessi il viso di Hannah sullo schermo, già nel primo minuto e mezzo di questa puntata, mi sono ritrovata con la pelle d’oca, mentre la telecamera inquadrava tutti i protagonisti della serie, leggere il racconto di Hannah, “La mia migliore amica è andata con il mio fidanzato”, pubblicato sul NY Times, felice per il suo successo.
Inaspettatamente ero lì, sorridente, non più infastidita dal suo sguardo in camera, tutt’altro.
Sarà perché so che tra poche settimane dovrò salutarla per sempre, o perché sono consapevole che mi mancherà nonostante tutto, ma per la prima volta in sei anni, tutta l’attenzione focalizzata su Hannah, spedita negli Hamptons per scrivere un articolo su un surf camp per ricche signore, non mi ha disturbato, perché dopo quel monologo, quell’indimenticabile monologo,  nulla è più come prima.
Dopo Jessa e Adam, dopo i capricci di Marnie, Hannah è Hannah e basta, aldilà dei sui difetti, dei sui vizi, delle sue psicosi.
E vederla lì, su quella spiaggia in compagnia del suo istruttore di surf (l’insuperabile Riz Ahmed di The Night Of), a sorridere e cercare un po’ di ottimismo, mi ha riempito di gioia.
Perché in effetti, se anche solo per un pomeriggio Hannah Hovarth può smettere di detestare tutto e tutti, possiamo riuscirci anche noi.

 It’s so much easier to love something than to hate it, don’t you think?
Love’s the easiest thing in the world”

Un cambiamento lento e graduale quello del suo personaggio, divenuto lentamente più controllato, più introspettivo, più sorridente.
Durerà? Impossibile prevederlo.
La realtà è che, emozioni a parte, se la scrittura dei prossimi episodi resterà uguale a quella di questa puntata iniziale, la Dunham riuscirà a chiudere alla grande una delle serie tv più discusse, criticate, amate e odiate degli ultimi anni.
Lei è sagace, cinica, sensibile e vera, e la sua scrittura rispecchia perfettamente la sua indole.
Alcune volte è oltraggiosa, altre incredibilmente esagerata, ma sempre e comunque reale, schietta, spontanea, e ammettiamolo: ciò che tante persone trovano volgare, è proprio ciò che quelle stesse persone direbbero dopo due o tre bicchieri di vino e che Lena invece riesce a dire senza troppi peli sulla lingua.
E quella cellulite sulle copertine delle riviste fashion americane, o quel corpo imperfetto che così spesso ci ha letteralmente sbattuto in faccia in Girls, altro non è che il corpo di una donna che no, non ha assolutamente paura di mostrarsi in tutti i suoi “difetti”, e anziché far indignare le persone, dovrebbe essere percepito invece semplicemente per quello che realmente è: un corpo umano senza Photoshop. Come quello della maggior parte di noi, o quantomeno di quelle donne non ossessionate dalla palestra, le creme anti smagliature o il cibo sano.
Lena Dunham non si vergogna delle sue paure né delle sue imperfezioni e vive la sua sessualità con una tale spontaneità, dar far invidia non dico a chiunque, per carità, ma sicuramente a me.
Non mi nascondo dietro un dito e lo ammetto con estrema tranquillità: anche io vorrei avere il coraggio di indossare un abito che, secondo l’opinione comune, per la mia taglia non va bene, o di mostrami agli altri senza preoccuparmi di assumere una posizione perfetta e impeccabile che non metta in risalto i miei chili di troppo o quei difetti che cerco ossessivamente di coprire ogni giorno.
Perché preferisco Hannah, in sovrappeso, piena di tatuaggi scoloriti, coi capelli in disordine e i vestiti larghi, a Marnie e Jessa sempre stilose e perfette nella loro magrezza e con i loro capelli luminosi e splendenti.
Non sarà facile, ma è inutile negarlo, è tempo ormai di abituarsi alla fine: questa stagione volerà via velocemente, proprio adesso, proprio ora che, dopo cinque faticosi anni, Hannah e io, tra alti e bassi (soprattutto bassi), abbiamo finalmente trovato un equilibrio e un’armonia.
E proprio ora che vorrei continuare a vederla sullo schermo senza più detestarla, dovrò invece dirle addio.
C’è voluto un po’ di tempo, Hannah, ma ne è valsa la pena.

“She’s blood, flesh and bone
No tucks or silicone
She’s touch, smell, sight, taste and sound […]
‘Cause she’s so high
High above me, she’s so lovely
She’s so high, like Cleopatra, Joan of Arc or Aphrodite
She’s so high, high above me”

 

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